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4 gennaio 2021: Epifania del Signore (L474)

Ripartire dalla meraviglia è forse l’invito che i Magi indirettamente ci rivolgono nel loro atteggiamento verso il neonato Gesù. Una delle cose che nutre, infatti, la nostra fede è la meraviglia di fronte all’iniziativa sorprendente di Dio. Sin dal libro della Genesi apprendiamo che Dio definisce buona la Sua Creazione e molto buona, in particolare, la creazione dell’essere umano. Tutto ciò che è stato seminato nella nostra vita da Dio, innanzitutto, e poi da persone buone, desta una meraviglia che si rinnova ogni giorno. Il sorriso di un passante, la figura di una bella donna, un bacio casto tra due fidanzati, un gesto amabile, un saluto cordiale. Quanti “semi di meraviglia” possiamo gettare nel cuore nostro e del prossimo durante la giornata? Per tornare ai Magi, ecco che la meraviglia si fa adorazione, con un cambio di passo, con un salto di qualità. Che cosa significa oggi adorare Gesù se non riconoscere che Egli è veramente Dio? Che ci ama al punto di consegnare volontariamente sé stesso alla Passione? Che ci riempie il cuore di speranza? L’elenco potrebbe continuare. Qualche volta, durante la Messa, ci sorprendiamo distratti o, peggio, annoiati. Dovremmo avere nel cuore la meraviglia e la gioia di ricevere Gesù Eucaristico in noi. Imitiamo allora i Magi prima della Messa o durante essa o subito dopo, restando di fronte al Tabernacolo in meravigliosa attesa di contemplare ciò che Dio ci ispira. L’ispirazione di Dio in noi, quindi, generi una meraviglia grande, una devozione intensa e rafforzi la nostra fede. Non c’è spazio in tale fede per lo scontato e per il banale. Nasciamo originali – come ci ricorda il Beato Acutis -: cerchiamo dunque di rimanere tali tutta la vita.

31 dicembre: Il dono divino della grazia e della verità (L473)

Gli ebrei ci hanno consegnato una tradizione che in Cristo è divenuta Tradizione con la “T” maiuscola. Questo perché Cristo ci svela il volto del Padre e in questo svelamento è l’apice della nostra fede che conduce alla salvezza. Ora, vorrei sforzarmi di comunicare a chi mi legge che cosa sono secondo me, cioè nella mia esperienza di fede, quella grazia e quella verità che Cristo ci dona, dopo che per mezzo di Mosè è venuta la Legge. Mi domando, innanzitutto, se sia giusto dire che prima della venuta di Cristo non eravamo capaci di fare il bene. In realtà, ci si può rispondere, la Chiesa venera anche santi che precedono la venuta del Messia e Dio Gesù, santi che sicuramente hanno dato lode a Dio con la loro vita eroicamente. L’Apocalisse che secondo me non narra semplicemente il Giudizio Universale (i cosiddetti “ultimi giorni”) ma è valida per il tempo che va dall’Ascensione del Signore alla fine dei tempi (ma è una mia opinione personale, forse persino eretica), l’Apocalisse, 21,5, dicevo, dice che Dio fa nuove tutte le cose. In questa chiave di lettura, solo la venuta del Cristo rende possibile – come evento di grazia unico, supremo ed insuperabile – la vita nella grazia che supera la vita nella Legge. E lo Spirito Santo che viene donato e che si dona ci rivela la verità tutta intera (cfr. Giovanni 16,13), che mostra il Dio di Gesù un Dio di amore che precede l’amore (per quanto grande) che noi possiamo avere per Dio.

30 dicembre 2020: Maria santissima Madre di Dio (L472)

La Madonna la immaginiamo un po’ tutti assorta in preghiera nei Cieli a favore di noi peccatori. Non punta il dito per accusarci, eppure ci corregge amorevolmente; non ci induce al peccato, prega invece che ci liberiamo dal peccato; non condanna il mondo, ma prega che il mondo si salvi. Dove c’è la pace, là c’è anche la Madonna. È talmente forte il legame tra la pace e la Madonna che non si può immaginare una preghiera per la pace che non sia anche rivolta alla Regina della Pace. Per quanto la Madonna difenda la pace (intesa, come primo significato, come assenza di guerra), l’umanità si ostina a fare guerre che seminano dietro di sé una disperazione, una povertà, una sofferenza indicibile per tutti e specialmente per le famiglie più sole e più deboli. Sarà per questo che la Madonna piange e le Sue lacrime irrorano la nostra anima di estasi meravigliata e meravigliosa. La Sua presenza che parla ai nostri cuori ci basta perché rimanda alla obbedienza dovuta alla Trinità, perché ci ispira pensieri santi ed azioni virtuose. Perciò, la Madonna intercede non solo perché la nostra vita, nella luce della fede, sia gioiosa, ma anche per la salvezza della nostra anima. Anche la Madonna prega perché il Figlio “porti in Cielo tutte le anime, specialmente le più bisognose della Sua misericordia”.

27 dicembre 2020: Bellezza, tenerezza, salvezza (L471)

Nel tempo di Natale, un articolo apparso sul sito del Vaticano ci suggerisce e ci ispira un viaggio ideale nei concetti di bellezza, tenerezza e salvezza. L’idea mi è piaciuta molto e dedico perciò il commentino di domenica 27 dicembre a questi tre concetti. Iniziamo con la bellezza, dicendo che gli artisti sono quelli che più si avvicinano alla creatività di Dio stesso nel momento del concepimento e realizzazione di tutto il Creato. Un articolo molto interessante dice che tutte le variabili della fisica sono tali da permettere la vita sulla terra. Ad esempio, il peso di un elettrone, se fosse anche solo leggermente inferiore o superiore al valore misurato dagli scienziati, non permetterebbe l’esistenza dell’universo e della vita nella nostra galassia. Il concetto di tenerezza ci porta a contemplare lo sguardo di Maria, la Madonna, sul proprio figlio appena nato. Se guardiamo Gesù con tenerezza, ecco un istinto che viene fuori – santissimo e purissimo – di protezione dell’Innocente perseguitato. Da qui la lotta a ciò che minaccia Gesù e la fede in Lui, come le eresie che la Chiesa combatte da sempre. Infine, ecco il concetto di salvezza. Prima della venuta di Gesù non è possibile l’imitazione di Dio e tale imitazione rappresenta il compimento perfetto della salvezza a favore dell’umanità intera. Tutti i credenti sono intercessori, se praticano la fede e le opere, per l’umanità intera perché trovi la bussola della salvezza escatologica rappresentata dai Profeti, soprattutto da Elia ed Isaia, per ricordare i più importanti, e dall’Apocalisse di San Giovanni Apostolo. Così diventiamo consapevoli del destino di gloria che è atteso da tutto il creato e che è reso innanzitutto possibile dal “sì” della Madonna all’Arcangelo Gabriele.

18 dicembre 2020: Natale del Signore 2020 (L470)

Gesù, nascendo, non glorifica sé stesso ma glorifica l’uomo sotto vari aspetti. Qual è la nostra risposta? Innanzitutto Gesù glorifica l’uomo nel servirlo come dice Matteo 20,28: “… il Figlio dell'uomo … non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti”. La nostra risposta di lode potrebbe essere uno speciale atto di ringraziamento a Gesù, a Dio Padre e allo Spirito Santo con una donazione a favore dei poveri. La gloria di Dio non può essere “contenuta” in nessuna somma di denaro per quanto grande. Un cuore ben disposto verso i poveri è ciò che Dio vuole come risposta alla Sua nascita. In secondo luogo, la nascita di Gesù glorifica l’uomo perché apre la possibilità alla Sua imitazione, cioè alla santità di tutti coloro che sono gli uomini di buona volontà, gli amati dal Signore. Questo aspetto della sequela o imitazione di un Dio povero, eppure onnipotente nell’amore, è da considerare della massima importanza perché è la via principale alla salvezza dell’anima. Lodiamo il Signore per la salvezza della nostra anima. Infine, un terzo aspetto. Gesù nascendo si dona a noi nella futura Santissima Eucarestia. Si dona a noi come vero Dio per nutrirci come la chioccia nutre i suoi pulcini. Questa è la “benzina” della vita del cristiano. Rispondiamo con una lode a Dio di ringraziamento per essere ammessi al Regno con la vita eterna. Gesù non è stato avaro con noi ma ci ha dato semplicemente il massimo che neppure potevamo immaginare. La gloria di Dio ora percorre la terra: sappiamo intercettarla?

17 dicembre 2020: la capanna cristiana (L469)

Da bambino conoscevo un gioco: consisteva nel fare una sorta di capanna dove stare per abitare. Tiravo una tenda (che faceva da tetto) sopra una sedia e sotto la tenda mettevo un materassino gonfiabile e una borraccia con dell’acqua. Il tutto sotto lo sguardo stupito di mia madre. Ora immagino, diventato adulto e credente, che questa capanna divenga un luogo simbolico per decidere che cosa far stare in essa e che cosa togliere. Ecco alcuni oggetti che, in questo tempo di Avvento vorrei nella mia ideale capanna cristiana. Innanzitutto una bibbia da leggere ogni tanto per respirare con il cuore il carisma profetico che tutti abbiamo e dovremmo esercitare come battezzati. Poi, come seconda cosa, un crocifisso semplice, di legno, per ricordarci del carisma sacerdotale di Gesù (al modo di Melchisedec, dice la Bibbia); infatti, quando il sacerdote spezza il pane e offre il vino consacrati, egli diviene un po’ come Gesù; è un po’ come Gesù, fa per noi la memoria del Signore e dona sé stesso alla Chiesa in ricordo, ad ogni Messa, della professione dell’Ordine sacro. E poiché con l’Eucarestia riceviamo Gesù stesso, nella tenda metterei un pezzo di pane che ci ricorda Gesù stesso che con la transustanziazione diviene presenza reale per nutrire la nostra anima di vita eterna; questo può e deve anche ricordarci il carisma regale del Messia, Re dell’Universo. Ricordare i tre carismi che siamo chiamati ad esercitare ad imitazione del Maestro, ci infonda la speranza, la forza e l’impegno concreto di purificare noi e la nostra vita per comparire degnamente di fronte a Dio come le vergini sagge del Vangelo.

10 dicembre 2020: Il "concime" spirituale dell'anima (L468)

Il tempo di Avvento è dedicato dalla Chiesa alla preparazione interiore con il “mantello della giustizia” (come dice Isaia nella prima Lettura), nello stupore riconoscente di fronte al Signore che “farà germogliare la giustizia e la lode davanti a tutte le genti” (idem). “Irreprensibili” (seconda Lettura, 1Tessalonicesi) attendiamo che il “concime” opportuno e ancor più necessario faccia fiorire Cristo dentro di noi. Che cos’è, fuor di metafora, questo concime? Si può far riferimento utilmente ad alcune virtù umane fondamentali che ci permettono di ricevere Gesù che fiorisce dentro di noi come un fiore bellissimo, perché si avveri nella nostra vita ciò che dice Apocalisse 3,20: “Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me”. Gesù che fiorisce ci rende partecipe della Sua cena. Questa cena va oltre il concetto pur importantissimo e santissimo dell’Eucarestia. Esso sta anche ad indicare lo sposalizio di ognuno di noi con il Signore Gesù. Io credo, senza timore di sbagliare, che qualunque battezzato, se concima adeguatamente la sua anima, può diventare lo sposo di Gesù. Nella comunione dei santi, condividiamo questo evento meraviglioso: Gesù ci sposa per migliorarci, per togliere la superbia, la rabbia dannosa, la vanità che si sorregge sulle lusinghe del mondo e far fiorire in noi le doti cristiane: la giustizia del cuore, l’umiltà, la fede incrollabile che attende lo sposo per il luogo e l’ora fissati.

3 dicembre 2020: il Dio con noi e i Suoi doni (L467)

La presenza del Signore in mezzo a noi – preparata da Giovanni il Battista – implica una disponibilità ad accogliere i doni che il Signore ci porta. E il primo dono che il Signore ci fa è l’autenticità del nostro io, che Dio ci chiede di accettare. Per una volta non è un uno scambio, un do ut des, ma è un dono del Signore, come dicevo. Questo dono nel cristianesimo si chiama Incarnazione. Il Dio ebraico non è più lontano, intoccabile, invisibile, irraggiungibile. Però, l’amore esige un minimo di attenzione perché altrimenti è un treno che passa senza che ce ne accorgiamo. Se siamo capaci di questa attesa, si apre uno scenario nuovo perché, come dice la Scrittura, il Signore “fa nuove tutte le cose” (Apocalisse 21,5). La principale novità ce la presenta il Vangelo di oggi ed è il dono dello Spirito Santo che opera una catarsi profonda della Storia umana e delle nostre persone. Nel Suo nome, dice la Bibbia, dobbiamo consolare il popolo, cioè consolarci a vicenda con la consolazione con cui noi stessi siamo consolati (cfr. la prima Lettura, Isaia e 2Corinzi 1,4). Questo Spirito è incarnato in Cristo Gesù. Chi crede questo non se ne sta inerte ma “nel deserto prepara la via al Signore, spiana nella steppa la strada per il nostro Dio” (ancora Isaia, prima Lettura). “Tutto canta e grida di gioia” (Salmi 64,14). Lo sentiamo?

26 novembre 2020: i segni della grazia di Dio (L466)

Questo commento verte sulla grazia di Dio e non sulle Letture di questa domenica. La grazia si manifesta in tutti i battezzati come segno dell’”esodo” che ognuno ha compiuto dalla morte alla vita, dalla carne allo spirito. Analiticamente, enumero sette segni della grazia che sono esemplificativi e non esaustivi. Sono solamente quelli che mi paiono più importanti. Primo: la consapevolezza di ogni battezzato di essere Chiesa e l’assunzione delle responsabilità che tale consapevolezza comporta. Ci determiniamo così a comportarci come pietre vive della Chiesa stessa apportando ad essa i talenti che il Signore ci ha donato secondo le capacità di ognuno. Secondo: la consapevolezza dell’importanza dei sacramenti che sono via al Cielo come testimoniato da numerosi santi canonizzati. Terzo: la consapevolezza della necessità di non chiuderci in noi stessi ma di aprirci all’altro in una relazione che arricchisca entrambi. Quarto: la venerazione obbediente della Parola di Dio memori di quanto dice il Vangelo in proposito (cfr. ad esempio Giovanni 14,23). Quinto: la consapevolezza dell’amore che Dio ha seminato in noi. Sesto: il rispetto della gerarchia come segno di appartenenza specifica alla religione cattolica. Settimo ed ultimo: la consapevolezza circa la necessità di santificare il nome di Dio con un movimento che parte anche qui dalla Chiesa per estendersi a tutto il genere umano. Un amore fattivo per tutti i fratelli anche non credenti o credenti in una diversa religione per costruire un mondo migliore; per santificare Dio nella consapevolezza (uso per un’ultima volta questo termine) che è necessario il contributo di ognuno di noi per la diffusione inarrestabile del Suo Regno di speranza, di pace e di vittoria spirituale (cfr. Salmi 443,5).

19 novembre 2020: Possedere l'amore degli ultimi (L465)

Un Vangelo quello di domenica 22 novembre 2020 che ci dice una verità che potremmo definire come segue: chi possiede l’amore del prossimo, possiede tutto. Procuriamoci questo amore con le opere di misericordia a favore – come appunto dice il Vangelo – degli affamati, degli assetati, degli stranieri, dei nudi, dei malati e dei carcerati. Tutto questo implica che la ricompensa al bene fatto è l’amore, specialmente l’amore di chi non ti può ricambiare materialmente, con soldi o con potere, con avanzamento sociale o con una “raccomandazione”. Possedere l’amore di queste categorie svantaggiate è possedere la Croce, se si ha la fede cristiana. La Croce posseduta spiritualmente e simbolicamente – s’intende – è possedere la fede che salva. Così, siamo anche degni di possedere Cristo materialmente, grazie alla transustanziazione nell’Eucarestia. In altri, termini, per il cristiano tutto è collegato: il Cielo con la terra, i poveri con i ricchi, il bene con il male, l’accettare Dio o il rifiutarlo. Tutto si compie nel Giorno del Signore, quando Cristo tornerà nella Gloria assieme ai Suoi angeli. Preghiamo, dunque, Dio di possedere l’amore degli ultimi, elencati dal Vangelo di questa domenica. Questo amore è l’olio delle vergini sagge, è il tesoro nascosto in un campo, è la perla preziosa di altri passi del Vangelo. Preghiamo Dio che anche noi si possa dire, ad un certo punto della vita: “Tutto è compiuto” (cfr. Giovanni 19,30).

12 novembre 2020: Comprensione e incomprensione tra Dio e l'uomo (L464)

L’incomprensione tra esseri umani viene considerata come una situazione “normale”, una possibilità da scontare nel corso dell’esistenza. Ma la Parabola dei talenti di questa domenica ci parla della comprensione/incomprensione tra Dio e l’uomo in termini drammatici. Il servo che non ha compreso la volontà di Dio è definito pigro e malvagio e il suo destino è l’inferno. Inoltre, nella parte finale, il Vangelo ci parla di una gerarchia fra le persone, gerarchia che nasce dalla volontà di Dio stesso che dà e toglie secondo criteri da chiarire. Al centro di tutto sembra esserci la consapevolezza di quanto è prezioso ciò che Dio ci affida. I talenti vengono dati secondo le capacità di ciascuno. Ognuno di noi ha delle capacità secondo natura che però vengono di molto aumentate dalla grazia, per cui grazia più natura equivalgono alla salvezza per chi accoglie la fiducia nel Signore. L’opposto dell’accogliere la fiducia che dà gioia è l’incomprensione che genera paura e viceversa. Questa paura è generata da una concezione erronea di Dio, come giustamente afferma il commento di don Fabio Rosini su Famiglia Cristiana. Preghiamo dunque di ricevere il premio promesso dal Signore a chi lo accoglie per come egli si svela, senza aggiungere deformanti elucubrazioni umane. Dio è amore: lo dice tutta la Bibbia. Amore verso il Nome di Dio che genera potere, dice la Parabola. Che cos’è allora questo “potere” che Dio concede a chi ha usato rettamente dei talenti, cioè di ciò che appartiene a Dio? Il potere è potere divino che è gratuità nel donarsi, capacità di influenzare la realtà secondo una logica di amore, seminatura di speranza che dona agli altri serenità. L’amore per l’Alleanza di amore che il Signore offre inviando il Suo Figlio (è questo il dono più grande che ci ha fatto il Padre) genera vita eterna, cioè gioia e salvezza, nonché riconoscenza per l’abbondanza dei frutti che ne derivano e per la immensa grazia della salvezza, della vita eterna nel nuovo Eden, il Paradiso di Dio.

5 novembre 2020: amare e cercare la sapienza nell'attesa di Cristo (L463)

Perdersi e ritrovarsi. La vita nella sua dinamica, a metà allegra e a metà tragica, presenta l’alternarsi di diverse “stagioni esistenziali” apparentemente non connesse fra di loro. Ma Dio conosce il filo logico di tali dinamiche. Perciò, può capitare a qualsiasi età che noi ritroviamo noi stessi trovando Dio, come accadde al buon ladrone sulla croce a fianco di nostro Signore. L’abitudinarietà è nemica di questa dinamica positiva che ci porta, appunto, a ritrovare noi stessi nella scoperta o riscoperta di Dio. L’atteggiamento dell’attesa è tipico dell’esistenza umana ed è mirabilmente spiegato da Gesù nella parabola di questa domenica 8 novembre. Vivere bene l’attesa significa dare senso alla vita nel modo che sto per esporre. Non siamo in attesa di una qualsiasi cosa casuale e banale, ma siamo in attesa di una luce che è più grande di noi, diciamo pure una luce immensa, destinata ad illuminare, cioè a dare senso, a tutto il nostro destino. Esserne consapevoli è essere saggi. In merito, la prima Lettura è incoraggiante. Essa recita: “La sapienza è splendida e non sfiorisce, facilmente si lascia vedere da coloro che la amano e si lascia trovare da quelli che la cercano”. Cercare e amare: ecco la chiave della vita. Tale chiave è preziosa al punto di aprirci le porte della vita vera, della vita eterna, del Paradiso.

29 ottobre 2020: la pace cristiana (L462)

La pace è al centro di questo breve commentino settimanale, tema cui è dedicata anche una delle nove beatitudini che vengono lette nella domenica, solennità di tutti i santi. In genere si parla di pace come meta escatologica a partire dal profeta Isaia. Ma qui vorrei parlare di pace come terra promessa spirituale per tutti i figli di Dio secondo le beatitudini, appunto. Crediamo nel Dio che stronca le guerre (Giuditta 16,2) e pensiamo anche solo alle liti inutili che ci sono nelle nostre comunità parrocchiali e nella Chiesa in generale. Tra i santi, come venivano chiamati in origine tutti i cristiani se non vado errato, c’è già una pace di grandissimo valore. E più contribuiamo ad alimentare questa pace, più puntiamo a diventare beati come figli di Dio. Ma come si diventa operatori di pace? Certamente mediante la dimensione dell’amore che scaturisce dalla fede. C’è anche una pace figlia dell’ipocrisia su cui vorrei brevemente soffermarmi. È la pace che dovremmo chiamare piuttosto pagana tranquillità di chi non vuole scocciature. Non è che sia maledetta ma certamente è poco cristiana. La pace cristiana ha un prezzo che è rinunciare all’egoismo, ha un mezzo che è appunto l’amore, ed ha una meta che è la terra promessa come orizzonte spirituale di beatitudine già qui sulla Terra.

22 ottobre 2020: la responsabilità del cristiano (L461)

Questa settimana rifletto sulla saggezza e su quanto sia necessario (oltre che saggio) essere persone responsabili di fronte a Dio. Per i credenti in Cristo è una necessità, per i non credenti è quanto meno una cosa saggia. Ecco che questa virtù dell’essere responsabili in Cristo si dirama lungo quattro direttive che cerco di esporre. La prima direttiva è non restare indifferenti di fronte alla carità come realtà profonda e verace dei sentimenti che Dio nutre per ogni essere umano. Occorre, anzi e di più, essere riconoscenti a Dio per averci creati perché questa creazione è il primo fondamentale atto d’amore di Dio per noi. La seconda direttiva è l’ascolto. Il cristiano è una persona che con l’atteggiamento dell’ascolto, come precisato tra poco, trova grande saggezza nonché sollievo dalla difficoltà della vita. L’ascolto si rivolge sia all’interno per quanto ci dice la nostra coscienza, ispirata da Dio mediante la grazia, sia all’esterno per quanto ci dice Dio mediante la Sua Parola e il Suo Spirito che, come dice San Paolo, intercede con insistenza per noi (Romani 8,26). La terza direttiva è la carità fattiva che è fatta di ogni buon pensiero ed azione. Veramente dobbiamo diventare strumento del fuoco che Cristo è venuto a portare sulla terra (cfr. Luca 12,49) per rivoluzionare tutte le realtà umane che ci circondano. Infine, la quarta direttiva è quella della speranza. Chi non crede che l’aldilà esista deve coltivare sommamente e perlomeno la speranza che l’aldilà esista.

15 ottobre 2020: La rivoluzione di Cristo vista dalla Madonna (L460)

La Madonna è donna superlativamente libera. La sua vita è tutta servizio a Dio e ai fratelli. Questo frutto ammirabile di bontà e di libertà della Vergine Maria deriva dalla sua profonda umiltà e ci fa vedere con occhi giusti la rivoluzione sociale e storica operata dal Figlio, interpretata dallo Spirito a beneficio di tutti gli uomini e specialmente dei figli di Dio, benedetta dal Padre autore della vita. La rivoluzione operata dal Cristo, che la Madonna interpreta in modo corretto, è lo scoprirci amati da Dio come ha fatto Lei. Anche noi, dunque, attraverso gli “occhiali” dell’amore di Dio per noi, vediamo chiaramente il disegno dell’alleanza che, accompagnata da meravigliosi prodigi, il Signore stringe più volte con l’umanità durante la Storia. Nessuno può guardare alla Madonna e restare indifferente: o la si ama, o la si dimentica. La Madonna è Madre dell’Alleanza nel mistero del cuore di Cristo stesso che ci istruisce e ci protegge. Questo intreccio che sto cercando di presentare e descrivere tra il piano cristologico e quello mariano, ci santifica nell’amore che esprimiamo a Dio e ai fratelli. Il potere di Dio è il Suo amore che diviene grazia, santificazione, perdono. Non è, cioè, che il cristianesimo non conosca la dimensione del potere come contrapposto al servizio. Piuttosto è vero che il potere cristiano è amore che serve. E in cosa consiste questo amore che si fa servizio? Nell’obbedire a Dio per amore e non per paura. La Madonna, che mi piace ricordare come Regina degli Apostoli, ci istruisce circa la vera devozione a Dio e istruisce il popolo che si mantiene fedele. Ci procura le grazie necessarie ad essere così tanto attratti dall’ideale della perfezione evangelica, da diventare stolti per il mondo perché santi per Cristo. Egli il solo giusto che toglie i peccati del mondo.

8 ottobre 2020: fede e rivoluzione del cuore (L459)

Oggi, come spesso mi capita, non commento il Vangelo della domenica XXVIII, T.O., ma rifletto sul concetto di “rivoluzione”. Intendo sottolineare il e riflettere sul carattere rivoluzionario tanto dell’azione di Dio verso l’uomo, come delle tre virtù teologali (fede, speranza e carità). Mi piace partire da un passo dell’Antico Testamento, cioè Ezechiele 36,26: “vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne”. Ci abbandoniamo a questa azione di Dio senza opporle resistenze perché essa, anche tramite le tre virtù teologali, è destinata a rivoluzionare il modo in cui vediamo noi stessi ed il modo in cui interagiamo con noi stessi e con gli altri. Passando più esplicitamente al Nuovo Testamento, ecco che il nostro cuore dovrebbe sempre più conformarsi al Cuore Sacratissimo di Gesù ed al Cuore Immacolato di Maria. Questa è la rivoluzione che possiamo chiamare “interiore” che in Gesù vede come protagonista lo Spirito Santo. Lo Spirito Santo, se siamo docili alla Sua azione, rivoluziona la nostra vita modificando il nostro cuore. La libertà interiore che scaturisce dall’azione dello Spirito è forse il bene più prezioso, più amato e più rivoluzionario che esista. Ce lo ricorda San Paolo dicendo, in Romani 8,15: “E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: «Abbà, Padre!»”. In conclusione, vivere come figli di Dio significa usare vestiti nuovi e otri nuovi per far crescere innanzitutto in noi stessi (e quindi nelle nostre relazioni) il Regno di Dio. C’è poi l’impatto dell’insegnamento di Gesù sulla società e sulla Storia ma di questo mi occuperei in un altro commento per ragioni di spazio.

1° ottobre 2020: trovare e perdere la fede (L458)

Il battesimo è una promessa: sia una promessa che noi facciamo a Dio, sia una promessa che Dio fa a noi. Cioè, se accettiamo la grazia che Dio ci dona tramite i sacramenti, fiorisce in noi quella pienezza di vita, di verità e di azione che è la vita cristiana. Questa settimana, però, vorrei riflettere su di un tema particolare che è la perdita della fede. Come è possibile che una persona, dopo aver gustato la bellezza e la forza dei doni divini nella vita cristiana, si perda, abbandonando la fede? Riflettiamo sulle cose che nella vita dobbiamo accettare e su quelle che nella vita dobbiamo rifiutare. Con questo esame di coscienza, possiamo renderci conto che può capitare questo psicodramma esistenziale: molte cose che dovevamo accettare, le abbiamo rifiutate e molte cose che dovevamo rifiutare, le abbiamo accettate. Questa constatazione ci rimanda al grande tema della libertà morale dell’uomo. In definitiva, sono gli errori nella vita morale che, forse, conducono alla perdita della fede. Perché forzando la mano a Dio, manipolando malamente la Sua grazia, diamo scandalo nella Chiesa e rischiamo di rovinare un capolavoro: tale è il sogno di Dio ha fatto su di noi perché raggiungiamo quella pienezza di vita, di verità e di azione di cui parlavo all’inizio.

24 settembre 2020: purificazione e contaminazione (L457)

Non solo i nostri difetti, peccati ed errori hanno bisogno di essere portati alla luce della verità divina per pentirci e trovare grazia nella misericordia. Anche le nostre capacità positive vanno portate a Dio per ricevere una purificazione. Infatti, anche nelle nostre doti siamo pur sempre esseri umani toccati dalle conseguenze del Peccato Originale. La Scrittura, infatti, dice di mantenersi puri da questo mondo (Giacomo 1,27). Ma c’è sempre una contaminazione che viene dal mondo e, quindi, c’è sempre bisogno di purificazione. Come può constatarsi, incentro, il mio breve commentino settimanale sul concetto, appunto, di purificazione. I sacramenti purificano il nostro io tentato dall’egoismo e dalla prevaricazione sul prossimo; tentato, inoltre, dallo sparlare di Dio. All’estremo opposto della contaminazione c’è quella sorta di purificazione integrale della persona che il Vangelo chiama “rinascere dall’alto” (Giovanni 3,1-14). Si vede se uno è rinato dall’alto se riconosce la giustizia di Dio nelle opere del profeta (il Vangelo di questa domenica parla di Giovanni il Battista). Rivolto ai sacerdoti e agli anziani del popolo, Gesù infatti dice: “Giovanni [il Battista] … venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli”. Presupposto della purificazione salvifica è il pentimento che apre le porte alla fede cristiana. Preghiamo dunque incessantemente il Signore di purificare le nostre vie per non essere abbandonati alla durezza dei nostri cuori che, di tanto in tanto, fa capolino.

17 settembre 2020: le relazioni umane all'interno della comunità credente (L456)

La fede è una realtà profondamente dinamica; realtà incentrata sulla conversione, prima di tutto, come splendidamente ma anche drammaticamente viene descritto come in un affresco dal Libro del Profeta Ezechiele 3, soprattutto i paragrafi da 16 a 21, cui rimando. Tuttavia, se è vero che la Chiesa è composta da esseri umani, ognuno con la sua personalità e la sua psicologia, ecco che dobbiamo essere consapevoli dell’importanza delle relazioni umane nella comunità dei credenti. Come ricorda il Vangelo di questa domenica, Dio può fare differenze di persona, pur desiderando la salvezza di tutti. E questo secondo i Suoi pensieri e le Sue vie, come enuncia la Prima Lettura tratta dal Libro del Profeta Isaia. E se Dio può fare preferenze, questo accade perché Egli può fare delle Sue cose quello che vuole (cfr. il Vangelo secondo Marco che si legge appunto questa domenica), senza mai venire meno alle Sue promesse. Veramente, dunque, il Signore agisce secondo criteri di bontà e preghiamo che nessuno si senta dire da Lui: “Sei forse invidioso perché io sono buono?”. Tornando al discorso iniziale, ecco che dobbiamo prenderci cura delle relazioni umane all’interno della comunità credente, come ci insegna il Vangelo: le relazioni possono logorarsi. Ed allora si impone un lavoro quotidiano di ricucitura delle relazioni logorate e di cura benevola delle relazioni salde, affinché veramente amiamo i fratelli come Gesù ci ha amati.



10 settembre 2020: le sette impronte di Cristo sulla terra (L455)

Questo commentino nasce da un’idea che a qualcuno potrà sembrare curiosa: l’idea è che Cristo camminando sulla terra abbia lasciato sette impronte e che sia possibile ripercorrerle una dopo l’altra. La prima impronta è l’interconnessione di tutti i battezzati. Siamo interconnessi in modo tale che il corpo soffre per il peccato di uno solo. La seconda impronta è la misericordia: vivendo di misericordia, capiamo che siamo tutti debitori del Padre celeste e, dunque, offriamo la remissione di quanto ci devono i nostri debitori, come recitiamo nel Padre Nostro. La terza impronta è l’amore a Dio: desideriamo in modo profondo di essere da Lui continuamente guidati e convertiti alla verità che rende liberi. La quarta impronta è la solerzia: l’impegno nelle opere di bene irradia ogni nostro gesto quotidiano se testimoniamo la fede in modo retto. La quinta impronta è il perdono: Gesù ha perdonato dalla Croce i propri carnefici perché non sapevano ciò che facevano. Quante volte noi siamo come i carnefici di Cristo: non valutiamo bene le conseguenze dei nostri peccati e siamo incoscienti; ma, nonostante ciò siamo perdonati dal Padre e dobbiamo accettare questo perdono perché, come si diceva prima, viviamo di misericordia. La sesta impronta è il donare sé stessi: cioè, abituarci a diventare un po’ come l’Eucarestia – se il paragone non è troppo ardito – pane spezzato per gli altri. La settima ed ultima impronta è la fede: ciò implica guardare a Dio mentre Dio guarda a noi. È l’unico modo che io conosco di trovare la giusta strada della lode, dell’amore, della fedeltà, dell’adorazione come testimonianza che c’è un unico Dio.

3 settembre 2020: l'io disintegrato e la comunione ecclesiale (L454)

Il demonio ha questo potere (se gli diamo distrattamente e, aggiungiamo, anche un po’ colpevolmente, corda): distruggere e disintegrare il nostro proprio io. Tanto che ci sono persone che non sanno neanche più chi e che cosa sono. Più ci radichiamo nella comunità dei credenti, con l’aiuto dello Spirito, più aiutiamo questo tipo di persone a reintegrare il proprio io, aiutandole a iniziare un percorso di riconciliazione con sé stessi, di ricostruzione della propria identità. A mano a mano che si progredisce su questa strada, si ridiviene capaci di relazioni (diciamo “sane”) con il prossimo. Da un punto di vista teologico, il percorso di guarigione spirituale passa attraverso la comprensione del valore del sangue di Cristo. Questa alleanza che Dio ha stipulato con l’umanità, fondata sulla morte e risurrezione del Cristo Dio, è incorruttibile, eterna e indistruttibile. Aspetta solo che il nostro io la accolga. Ma cosa significa accogliere nella piena e matura comprensione il sacrificio e la resurrezione del Cristo come evento centrale della nostra esistenza? Significa ritrovare, forse, fiducia in noi stessi perché l’amore di Dio si è fatto fiducia nell’umanità per il Suo immenso amore. Eravamo tutti peccatori, ma ora, giustificati per la grazia ricevuta, siamo un corpo solo nello Spirito. Come corpo solo, possiamo chiedere nella preghiera la capacità di amare la Chiesa, il prossimo e Dio stesso e Dio ci concederà questo beneficio, nel contesto di un io completamente riconciliato con sé stesso.

27 agosto 2020: i rischi spirituali (L453)

Il Signore veramente è degno di essere creduto, prima, e, poi, seguito con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la mente. Ecco perché voglio soffermarmi sugli impedimenti alla sequela del Signore, cioè su quelli che chiamerei i “rischi spirituali”. È un rischio spirituale tutto ciò che allontana dalla fede e dalla sequela e che finisce col danneggiare la nostra anima. Gesù, infatti, ci ha avvisato di temere “colui che ha il potere di far perire e l'anima e il corpo nella Geenna” (Matteo 10,28). Ci sono cioè trappole diaboliche dietro tre rischi spirituali, senza voler essere esaustivi: la falsa dottrina, l’ipocrisia e l’avidità. La falsa dottrina ci fa vivere nell’illusione di vivere in pace con il Signore, inducendoci a non percepire il rischio di perdersi dietro a filosofie, teologie e pensieri erronei e fuorvianti. Di San Domenico si dice che vinse gli eretici con il Santo Rosario. Qualunque idea che coltiviamo va verificata e condivisa con i fratelli perché sbagliare può essere umano, direi quasi “normale”. Il Rosario e la preghiera in generale (ciascuno ha le sue preferenze circa questa o quella preghiera) sono un’arma formidabile contro i rischi spirituali. Dovendo necessariamente essere sintetici, passiamo all’ipocrisia. L’ipocrisia è l’arte di apparire una cosa, pur essendo in realtà un’altra. Le persone ipocrite indicano un sentiero che va seguito secondo ciò che dicono ma non secondo ciò che fanno (cfr. Matteo 23,3). L’arma migliore contro l’ipocrisia sono la Confessione e la direzione spirituale. Infine, l’avidità è il grande e terzo rischio spirituale. Ne parla la Bibbia in vari punti. Vorrei qui solo ricordare la Parabola del seminatore dove si menziona l’inganno della ricchezza (Matteo 13,22). Questa ricchezza ha il potere di soffocare la parola e impedisce che quest’ultima porti frutto (idem). Quali terribili trappole il demonio ha concepito! Ma più forte di tutte queste trappole è l’amore di Dio che ci tiene uniti a Cristo se veramente lo vogliamo, se ragioniamo secondo Dio e non secondo gli uomini, come ci ricorda il Vangelo di questa domenica.

20 agosto 2020: crescita integrale nella fede (L452)

La comprensione che Dio ha di noi può essere intuita se pensiamo che essa vive di ed in una dimensione integrale. Per “integrale” intendo che Dio ci è compagno nella sfera sia materiale, sia spirituale. Esiste, dunque, un “materialismo buono” a fianco ad un “materialismo bieco” (come lo ha chiamato il Cardinale Comastri)? Certamente sì, il Signore guida la nostra vita, se lo vogliamo, in tutti i suoi aspetti. A noi spetta vivere da figli. Ma viviamo veramente da figli? Curiamo la qualità delle nostre relazioni? Ci sforziamo a volte senza ottenere. Quest’ultimo è il mistero dei nostri limiti, della nostra fragilità, della nostra povertà e piccolezza. Se però sogniamo con Dio circa noi stessi, se accettiamo il progetto che Dio ha su di noi, non importa più che diventiamo grandi personaggi del mondo. Umilmente accettiamo la semplice circostanza di fare la volontà di Dio. Questo ci completa e ci perfeziona in ogni aspetto della nostra vita e della nostra persona.

13 agosto 2020: camminare nella gioia dei santi (L451)

Se ci interroghiamo sul nostro io e non troviamo quella gioia che la Bibbia annunzia in vari punti, dobbiamo elevare la nostra preghiera al Signore perché non vi è dubbio che Egli è l’Autore e il Donatore di questa gioia. La nostra gioia di cristiani deriva da vari fattori, ma principalmente dalla prima venuta di Gesù e dall’attesa del Suo glorioso ritorno. Come due fiumi che allietano una città, così la gioia dei fedeli e la gioia dei santi allietano la Chiesa, ad imitazione del Cuore stesso di Dio. Come si capisce, questa settimana medito sulla gioia dopo aver meditato la settimana scorsa sull’amarezza del vivere e – la settimana ancora prima – dopo aver meditato sui concetti di Pace e di Gloria. Dicevo sulla gioia che la Chiesa cammina nella Storia umana nella gioia principalmente perché vive nell’attesa del ritorno del Signore. Il Vangelo di questa domenica ci parla di questa donna cananea che non si arrende e chiede con insistenza a Gesù una grazia per la figlia malata, tormentata da un demonio. Chi è tormentato in questo modo è sicuramente tentato dalla tristezza e perde la gioia del vivere nella fede. La gioia che la donna cananea prova dopo la guarigione della figlia è un dono che nessuno le può togliere. E ci mostra che una delle strade per ottenere la gioia è la caparbietà di chi crede nell’inverosimile. Ciò che, infatti, è inverosimile per la mentalità del mondo, è possibile secondo la fede in Dio. Concludo dicendo che la gioia dei santi ci illumina come cattolici ed è anche la nostra gioia. Nessuno ci può togliere la gioia che Gesù stesso ci ha donato.

6 agosto 2020: l'amarezza del vivere (L450)

Anziché offrire l’ennesimo commento alla Scrittura di domenica 9 agosto 2020, vorrei soffermarmi su di un concetto, dopo aver riflettuto la settimana scorsa sui concetti di Pace e di Gloria collegati assieme. Tale concetto su cui riflettere è quello dell’amarezza della vita. Una esperienza che Gesù ha vissuto sicuramente in quanto ha condiviso in tutto la nostra vita umana (eccetto che nel peccato). Infatti, l’amarezza di Gesù è lecito immaginarla nel momento in cui è stato rifiutato dal Suo popolo. Prima di consegnarsi liberamente alla Sua Passione, il Vangelo ci dice che Gesù nel Getsemani, dopo aver pregato, prese con sé Pietro e i due figli di Zebedèo (cioè Giacomo e Giovanni) e “cominciò a provare tristezza e angoscia”. Disse loro: “La mia anima è triste fino alla morte”. Si tratta degli stessi personaggi che Gesù chiama per la Trasfigurazione. Gloria e amarezza sono mescolate assieme. Il filosofo Sartre parla di nausea del vivere, un concetto che male si adatta a Gesù, come invece si adatta la amarezza del vivere. Questa amarezza, nel cristianesimo, può essere vista come il momento in cui vincono le tenebre. È una situazione ampiamente descritta sia dal Vangelo, sia dall’Apocalisse. Tale amarezza deriva in Gesù, e così anche per noi, dall’essere in esilio: non siamo infatti ancora entrati nel Regno di Dio, in comunione con tutti i santi dopo la morte. Eppure, è possibile vivere questa amarezza positivamente, nella luce della fede. Intendo dire che è doveroso reagire, contribuendo ad un mondo più giusto e fraterno anche quando sembra prevalere il terrore dell’ingiustizia. Anche quando abbiamo la sensazione di essere circondati dal male, c’è sempre una strada che Dio ci indica di percorrere perché in noi vinca il bene sul male e l’amarezza si trasformi in gioia nel Signore Gesù che gloriosamente ha vissuto e gloriosamente è risorto.

30 luglio 2020: Pace e Gloria (L449)

Due dimensioni della fede che non vengono di solito accostate: la Pace e la Gloria. Nell’Eucarestia le ritroviamo entrambe. A volte è capitato un po’ a tutti noi che durante la Santa Messa ci mettessimo a pensare ad altro, che ci annoiassimo e vorremmo, dunque, che la Messa finisse il prima possibile. Anche nel Vangelo di questa domenica, gli apostoli vorrebbero “accorciare” questo rito santo che è sfamare gli affamati. Gesù fa loro capire che essi, gli apostoli, devono diventare il cardine della carità verso gli affamati. Ma affamati di cosa? Di molte cose. Innanzitutto del pane materiale che sfama con la condivisione. Poi affamati di senso per la loro vita. Infine, affamati di Dio stesso che si dona a noi come pane spezzato e sangue versato. Così, rispetto alla immaginazione dei discepoli, la storia si complica in un modo perfetto e stupefacente. Pace e gloria, dicevo. Se capiamo che l’Eucarestia include questi due aspetti, vorremmo che la Messa non finisse mai, altro che annoiarci! La pace di Cristo è con noi tutte le volte che facciamo agli altri quello che vorremmo fosse fatto a noi, secondo il noto criterio evangelico di Matteo 7,12. La gloria è con noi nell’Eucarestia perché ci rende capaci di vita eterna, cioè di una vita pienamente realizzata nella relazione sana e santa con Dio. Pace e gloria a tutti, dunque, vicini e lontani dalla Chiesa e dalla fede!

23 luglio 2020: Dio glorifica l'uomo (L448)

Prima di spendere delle parole di commento al Vangelo, mi soffermo sulle prime due Letture. La prima parla delle richieste a Dio di Salomone il quale regna al posto di suo padre, Davide. Un bellissimo dialogo tra Salomone e Dio, nel contesto del quale Dio rispetta la libertà di un cuore saggio (quello di Salomone, appunto) che chiede a Dio il discernimento nel giudicare. Se ogni uomo viene da Dio e a Dio ritorna, sono molti gli uomini che già durante la vita, con cuore docile, mirano a incamminarsi verso Dio facendo di questo cammino lo scopo di tutta la vita. Questa è la sorte del popolo santo di Dio, i cristiani. Circa la seconda Lettura, San Paolo ci mostra come, nel cristianesimo, non solo è dato all’uomo di santificare il nome di Dio ma Dio a sua volta glorifica l’uomo (Romani 8,30). Se la gloria viene solo da Dio, come è preziosa la testimonianza dei santi! La Madonna e i santi ci mostrano l’apice della grazia che è diventare un Alter Christus. Il percorso di grazia è descritto nel Vangelo di questa domenica come contributo di ogni credente all’edificazione del Regno di Dio. Siamo chiamati così a scelte coraggiose ma in realtà premianti e anche necessarie per santificare noi stessi e il mondo così come Dio santifica il mondo.

16 luglio 2020: i giusti splenderanno come il sole (L447)

Ho letto su Famiglia Cristiana il commento di don Fabio Rosini al Vangelo di questa domenica. L’ho trovato talmente azzeccato che non saprei cosa aggiungere; non posso aggiungere molto. So, in base alla mia personale esperienza di fede, che il Signore ci preserva dalle mani di chi opera il male. E se ci capita qualcosa che chiamiamo “sventura”, anche in questo caso, se veramente abbiamo fede, Dio trae il bene dal male. Il male, però, per alcuni (forse, per molti) rimane seducente anche quando assieme al grano spunta la zizzania; anche allora ci sono persone talmente accecate dal nemico da continuare a difendere la zizzania. I malvagi, infatti, li chiamo così: “accecati”. Chi è (in tal senso) cieco va curato con amore perché torni a riconoscere il bene, torni a distinguere il grano dalla zizzania. La cecità lascia sempre la speranza che il malvagio riacquisti la vista. La negazione/rimozione del male dovuta a questa cecità è una sorta di negazionismo sia dal punto di vista della fede, sia dal punto di vista della morale. Oggi vediamo spesso nelle canzoni, nei film, nel mondo in generale che il male è presentato come bene ed il bene è presentato come male. La Chiesa è o, perlomeno, dovrebbe essere come il faro sulla costa del mare. I naviganti hanno in Dio, anche tramite la Chiesa, un punto di riferimento per non smarrire la rotta, perseverando. La perseveranza ha un traguardo finale quando, come dice il Vangelo, “i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro”. E speriamo che questi giusti siano in gran parte ex malvagi che hanno trovato la via, la verità e la vita.

9 luglio 2020: la Parabola del seminatore e il nostro libero arbitrio (L446)

La grazia in noi per come l’abbiamo chiesta ci prepara alla vita nello Spirito. Per tale motivo, mi pare si possa accostare la Parabola del seminatore a quel passo del Vangelo che dice: “Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto; perché chiunque chiede riceve, e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto” (Matteo 7,7-8) ecc. Si deve partire dalla fede che ci prepara a ricevere la grazia. La Parabola del seminatore non viene così interpretata tanto come un dato di natura che caratterizza l’uomo, ma come l’esito di un percorso di crescita morale e spirituale in cui ha parte determinante ciò che abbiamo sperato dal e chiesto al Signore con il nostro libero arbitrio. Se abbiamo chiesto la grazia, siamo già terreno buono. Ma va anche notato che Dio semina in tutti i terreni tanto in quelli “buoni” come in quelli meno fortunati. Questa è la vera misericordia di Dio per cui restare meravigliati. La Parabola, dunque, può anche riferirsi ad una stessa persona nelle varie fasi della sua vita. Ogni persona che non ha portato frutto in passato, può fare memoria decisiva di tale fallimento e portare frutto in futuro. Dio è paziente e insiste sino alla nostra morte nell’offrirci il seme buono.

2 luglio 2020: l'iniziativa di Dio per noi (L445)

Noi spesso non troviamo le parole per esprimere quanto bene, quanto amore, portiamo a Dio. Siamo vuoti, o meglio, facciamo esperienza del vuoto di ispirazioni buone e pensieri virtuosi. Ma Dio, nel farsi incontro a noi, ci riempie dei doni che danno senso pieno e pregnante alla nostra fede. Occorre farsi piccoli, dice il Vangelo di questa domenica, per accogliere la rivelazione del Signore. Ma rivelazione di che cosa? Certamente, del Suo amore. Cioè, se anche noi non troviamo le parole, è Dio che le trova per noi e le rivela tramite il Suo santo Spirito. L’amore di Dio ci nutre mediante i sette doni dello Spirito Santo. Io credo che questo avvenga gradualmente. Gradualmente, infatti, comprendiamo il nostro peccato: quanto siamo fragili. La verità, l’amore e la giustizia di Dio sono allora destinate a divenire, mediante lo Spirito, la nostra forza. Mi viene in mente, in proposito, quel passo del Vangelo che dice: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi” (Giovanni 15,16). Negare l’iniziativa di Dio verso di noi conduce all’errore. Il cristiano, in altri termini, sa di non essere autosufficiente. Attingiamo, infine, grazie al Figlio, la conoscenza del Padre. Un Padre che è misericordia nel puro senso di un amore che sorpassa in nostri limiti umani. Così facendo, come dice il Vangelo, troviamo ristoro  e troviamo un giogo dolce ed un peso leggero.

25 giugno 2020: realtà invisibili e realtà infinite (L444)

È impossibile seguire Cristo nelle beatitudini, nella carità e nei vari precetti sparsi un po’ in tutto il Vangelo, senza avere valide guide. A volte, abbiamo a che fare con pastori poco credibili o, perlomeno, che la gente non ama. Questo pone un grave problema che consiste nello smarrimento delle pecorelle e finanche nella loro dispersione. Una guida valida ci conduce alla ricerca delle realtà infinite e di quelle invisibili. I beni preparati per noi sono di tal fatta: sono misteri perché camminiamo nella fede e non ancora in visione (2Corinzi 5,7). C’è una sola realtà che è superiore all’amore a Dio e al prossimo ed è l’esistenza di Dio stesso. In tale senso, la verità supera l’amore perché da questa verità (l’esistenza di Dio) tutto dipende. Stavo parlando delle realtà visibili e di quelle infinite. La verità che Dio esiste ci proietta in entrambe le realtà. Dio è invisibile, crediamo in una realtà invisibile che lascia delle tracce, però, sulla terra come le opere compiute dal Cristo, il Dio-con-noi. Giovanni 14,11, infatti, recita: “Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me; se non altro, credetelo per le opere stesse”. Ma tutte le verità della fede confluiscono nella realtà che Dio, non solo esiste, ma è amore. Questo ci dà fiducia circa il giudizio. L’amore di Dio trascina noi come un bambino trascina un aquilone. E non è possibile seguire Dio sulla strada dell’amore se non si ha un cuore puro. Torniamo al tema delle beatitudini che recitano: “Beati i puri di cuore perché vedranno Dio” (Matteo 5,8). Torniamo anche, concludendo, al tema della visione beata, meta del nostro pellegrinaggio terreno.

18 giugno 2020: predersi cura dell'anima (L443)

Il concetto di “intimità”, oltre al suo significato di confidenza fisica tra sposi, nel cristianesimo può anche assumere un’attenzione particolare che si destina alla propria anima. Come ci si prende cura di una pianticella con amore, innaffiandola, così anche l’anima ha bisogno di tante cure basate sull’amore che abbiamo per essa. In passato, ho ricordato l’importanza del radicamento della fede nella Chiesa sotto altri aspetti, ma questo di cui ci occupiamo oggi è centrale e decisivo. Ci richiama ad una responsabilità precisa che dipende in larga misura dalla nostra volontà. “Signore, io voglio che la mia anima sia salva!”, imploriamo spesso ogni giorno. Quando prendiamo l’Eucarestia possiamo a buona ragione pregare dicendo: “Non sia per me motivo di condanna ma ci conduca alla vita eterna in Paradiso, Amen”. La liturgia ci invita, inoltre, a pregare che il sacrificio sia gradito a Dio, Padre Onnipotente. Preghiamo che l’eucarestia sia bene accetta “per il bene nostro e di tutta la Sua santa Chiesa”. Affidiamo, infine, la nostra anima alle cure tenere e dolcissime della Mater Dei. Per avere una bella anima, fuggiamo con orrore tutto ciò che Dio detesta e, se abbiamo peccato, torniamo a Dio con tutto il cuore (contrito). Infine, domandiamoci: come Dio si prende cura della nostra anima? Non ci capiti di essere rinnegati perché abbiamo rinnegato Cristo di fronte agli uomini. Accogliendo Cristo, Egli ci guida prendendosi cura dell’anima e del corpo perché la misericordia di Dio trasforma le cose, facendole tutte nuove in noi (cfr. Apocalisse 21,5)!

11 giugno 2020: Corpus Domini (L442)

La consapevolezza di sé e del mondo propria del cristiano si sviluppa su diversi livelli. La prima consapevolezza è di essere creature di Dio, fragili eppure fatte poco meno degli angeli (Salmi 8,6). La seconda consapevolezza è di essere peccatori, sapendo che l’amore di Dio si rivela anche e innanzitutto come misericordia; e la misericordia segue strade impensabili, come manifestazione, quale essa veramente è, di una Provvidenza onnipotente e onnipresente. La solennità del Corpus Domini, con le Letture che la accompagnano, apre un nuovo orizzonte alla consapevolezza. La prima è enunziata dalla prima Lettura (dal Libro del Deuteronomio) ed è una “libera dipendenza” da Dio quanto al pane che i credenti ricevono da Dio stesso nell’attraversamento del deserto. C’è un collegamento tra l’ascesi (uno dei significati del deserto) e il nutrimento che viene da Dio. Sempre il Libro del Deuteronomio ci apre alla consapevolezza che “l’uomo non vive di solo pane ma che l’uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore”. Il ponte che unisce l’uomo a Dio è fatto del pane e della Parola. La seconda Lettura (dalla prima Lettera di San Paolo Apostolo ai Corinzi) ci introduce in una diversa consapevolezza: “poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo”. Tutte le consapevolezze confluiscono però nell’adorazione del pane eucaristico e nel cibarci di esso. La vita del mondo dipende da esso. La vita eterna e la resurrezione nell’ultimo giorno sono anch’esse strettamente legate al pane eucaristico. Tutte le volte che ne mangiamo, siamo più consapevoli del legame con Cristo e con il Padre, un legame di “amore liberante” che elimina l’affanno per le cose e le soddisfazioni del mondo.

4 giugno 2020: vittoria sul mondo e salvezza del mondo (L441)

Che relazione c’è tra la vittoria di Cristo sul mondo e l’amore di Dio per il mondo? Strettissima. Infatti, il mondo sognato da Dio non si è ancora pienamente realizzato, ma nel frattempo, Dio ha vinto il mondo, cioè ha vinto lo spirito di sopraffazione, di contesa, di divisione, di egoismo. Nonostante questi mali, Dio vuole la salvezza del mondo. Qui nasce la nostra missione di battezzati con acqua e poi con lo Spirito Santo. Nel contesto della missione, anche noi, ad imitazione di Cristo, vinciamo i mali che sono dentro di noi e all’esterno, per costruire due comunità. La prima comunità di tutti gli uomini per un mondo di pace e di speranza, nella gioia che Dio vuole donare a tutti. La seconda comunità è quella della Chiesa nella quale, anche grazie alla forza dei sacramenti, sperimentiamo già il Regno di Dio che è in mezzo a noi. Gesù si dona a noi ogni giorno, si spende per salvare il mondo anche tramite la Sua Chiesa e tramite i misteri salvifici i quaLi operano tramite il Santo Spirito per chiunque osserva i precetti del Signore. Così, esultiamo nella gioia perché mandando Gesù, Dio ci ha donato questa beatitudine somma, la liberazione dal male nella nostra anima, nel nostro cuore, nella nostra coscienza umana (universale) e cristiano-cattolica.

28 maggio 2020: la Madonna, lo Spirito e le profondità di Dio (L440)

La domenica di Pentecoste ci ricorda come lo Spirito ci illumini circa le profondità di Dio. A ben vedere, si può intravedere nella storia della salvezza, una proficua collaborazione tra lo Spirito e la Madonna. La Madonna è la pienamente istruita dallo Spirito perché queste profondità di Dio si trasformino in noi in preghiera ed azione a beneficio della Chiesa e del mondo intero. Senza una nostra risposta nel contesto delle profondità del Signore a ben poca cosa lo Spirito ci ha beneficati. Queste profondità, infatti, ci mostrano che Dio è amore e, inoltre, ci svelano come Dio è amore. Un amore totalmente disinteressato, salvifico e gratuito. La speranza dei credenti e la visione dei mistici illuminano il cammino della Chiesa nella Storia. Il Dio che cammina con noi, a fianco a noi, ci sostiene con il Suo Spirito, quello Spirito che ha fecondato Maria, incinta del nostro Messia, del nostro Dio-con-noi. Senza Maria, senza il Suo aiuto, si fraintende tutto il cattolicesimo e si rischia di perdere la speranza. Come dice San Giovanni nella sua prima lettera, 5,4: “Tutto ciò che è nato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria che ha sconfitto il mondo: la nostra fede”.

21 maggio 2020: conoscenza profonda di Dio e amore per Lui (L439)

La generazione di Gesù, cioè di coloro che lo hanno visto operare e sentito parlare, che hanno potuto toccarlo e fare esperienza della Sua dolcissima amicizia, questa generazione – dicevo – ci precede nella grazia ricevuta. Ma Gesù ha anche promesso di essere con i discepoli tutti i giorni sino alla fine del mondo. Ora, ognuno di questi discepoli ha ricevuto i talenti da Gesù per dare esecuzione alla vocazione specifica “esistenziale” nella fede. Non tutti siamo sacerdoti, pastori, maestri ma tutti siamo chiamati ad amare. L’amore dei credenti (e anche di una parte dei non credenti) per Gesù è come una calamita che attira Gesù a tornare sulle nubi prima della fine del mondo. L’attesa beata si fa così amore per i fratelli, amore per la Chiesa, amore per la Parola e per l’Eucarestia. L’Eucarestia, in particolare, non ci lascia orfani ma ci fa tutti fratelli nell’amore di Cristo. San Paolo (seconda Lettura) prega e prevede che Dio ci dia “uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di Lui”. Questa conoscenza è la pasta e l’amore è il lievito che la fa crescere. Se siamo consapevoli di questo, non possiamo anteporre nulla all’amore a Dio e al prossimo, secondo la missione ricevuta dal Signore.

14 maggio 2020: i cristiani sono una élite? (L438)

C’è una lezione santa nel Vangelo di questa domenica. È la lezione della fiducia in Gesù, dell’amore verso Gesù, dell’azione dello Spirito Paraclito come una implicazione dell’amore reciproco tra l’uomo ed il Creatore dell’universo. Lo Spirito si intreccia con le nostre vite, intenzioni e desideri per farci capire che i cristiani non sono orfani. Sembra quasi che lo Spirito scelga alcuni a scapito di altri, come se facesse nascere una élite. Ma allora il cristianesimo è un fenomeno elitario? Alcuni passi del Vangelo fanno pensare a questo. Ricordiamo ad esempio quel passo che dice: “molti sono chiamati ma pochi eletti” (Matteo 22,14). All’estremo opposto stanno quei passi che fanno pensare ad una fratellanza universale di tutti gli uomini. Ad es., il Vangelo dice che Dio ha tanto amato il mondo da dare il Suo Figlio unigenito (Giovanni 3,16). Un Dio che “… fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti”. D’altra parte, Gesù è morto per tutti, per attirare tutti a sé. Ogni uomo è un redento. Solo un rifiuto ostinato dell’amore di Dio può portare qualcuno alla perdizione. Infatti, circa il fatto che qualche anima si perda nell’inferno non sappiamo nulla, mentre nutriamo la speranza che tutti si salvino. A perdersi non sono i non credenti in quanto tali ma i non credenti se empi. Dio solo è il giudice il quale Dio è venuto non per condannare il mondo ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui (Giovanni 12,47). Preghiamo che tutti si salvino e lasciamo il mistero tale e quale è, perché il mistero va contemplato e non posseduto. Il mistero cui accenno è contenuto nelle chiarissime, ultime parole del Vangelo di questa domenica che mi limito a riportare: “Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui” (Giovanni 14,21).

7 maggio 2020: l'importanza della meditazione nella fede (L437)

Una delle componenti dell’essere cristiano è la fedeltà al popolo di Dio e, prima ancora, – come ha detto Papa Francesco nell’omelia della Messa a Santa Marta il 7 maggio 2020 – il sentirsi parte di questo popolo. In questa domenica Gesù parla delle dimore eterne che attendono il santo popolo di Dio come meta del nostro pellegrinaggio spirituale. Però, invece che commentare la Scrittura di questa domenica, vorrei esprimere alcune idee sul tema della meditazione. Non vi è dubbio che un aspetto rilevante dell’esperienza di fede è la meditazione delle verità di fede. Una è proprio quella accennata della nostra appartenenza al popolo fedele a Dio. Meditando su questa fedeltà, siamo portati a pregare Dio di mandare sempre lo Spirito Paraclito come “collante” del popolo di Dio, cioè come Spirito che risana, che incoraggia, che sostiene, che unisce tutti come parte di un’unica famiglia. La preghiera è un momento di meditazione oppure forse è fatta male. La lettura delle Scritture è anche un momento di meditazione sul loro significato nella nostra vita. L’esame di coscienza lo è altrettanto e così pure il mistero dell’Eucarestia. Come dice il Salmo 1, 1-2: “Beato l'uomo che non segue il consiglio degli empi, non indugia nella via dei peccatori e non siede in compagnia degli stolti; ma si compiace della legge del Signore, la sua legge medita giorno e notte”. Se manca la meditazione di tutte queste cose durante la nostra giornata, forse c’è qualcosa di mancante, c’è qualcosa che non funziona nella nostra vita di fede, di popolo di Dio.

30 aprile 2020: Gesù è la porta (L436)

La realtà della Resurrezione di Cristo ci evita di percepire il racconto evangelico relativo come un libro di fantascienza. Infatti, da molto tempo per mezzo dei Profeti, la Trinità Santissima invitava uomini e donne di tutte le generazioni e di tutte le Nazioni a prepararsi all’avvento del Messia. Nel realizzare tale profezia, Gesù ci rende Suoi parenti (cfr. Matteo 12,50). Facendo la volontà di Dio, siamo come quasi dico coattivamente (ma è meglio dire naturalmente e istintivamente) chiamati a attraversare quella porta che è Gesù stesso. C’è chiaramente un prima e un dopo il passaggio della porta perché, attraversatela, troviamo pascolo come dice il Vangelo di questa domenica. Il sospetto che Gesù possa ingannare l’umanità lascia il posto ad assenza di cinismo e di egoismo per trovare la carità. La carità ci aiuta a riconoscere Gesù Cristo in ogni fratello e sorella sofferenti. Ma più ci immedesimiamo con Gesù più diventiamo docili ai comandi amorevoli, alla guida che Gesù esercita nella nostra vita. Trovare pascolo è ricevere benefici inimmaginabili da Gesù: tra questi la pace dello spirito che grida “Abbà, Padre”. Un padre nel quale siamo tutti fratelli. In questo contesto di gioia e di salvezza brillano più di ogni altra stella la Madonna e i Santi. Veramente, con l’anima possiamo conoscerli (la Madonna e i Santi) per avere un esempio mirabile di come cercare la porta e attraversarla con la gioia che dona il seguire il Santo Spirito di Gesù che ci conduce a Lui.
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